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Varie : Esistenza di Dio - la prova scientifica - William Hatcher

Il Dr. William S. Hatcher è nato a Charlotte nella Carolina del Nord ed ha ottenuto i suoi titoli universitari - B.A. e M.A. presso l’Università di Vanderbilt a Nashville nel Tennessee ed il suo dottorato in logica matematica all’università di Neuchatel in Svizzera. Si è poi trasferito con sua moglie Julie in Canada nel 1968. E’ stato professore di matematica presso l’Università Laval della città di Quebec fino al 1995. Ha scritto 50 libri, articoli e monografie fra cui risaltano: "Le fondazioni logiche della matematica." (1982), "Logica e Logos: saggio su Scienza, Religione e Filosofia." (1990), "Love, power and justice: The Dynamic of authentic morality." (1998), nel quale tratta il tema della necessità di uno standard morale autentico ed universale. Il Dr. Hatcher è deceduto il 27 Novembre 2005, all’età di settanta anni.

Una prova scientifica dell’esistenza di Dio

Titolo originale “A Scientific Proof of the Existence of God” di William S. Hatcher

Traduzione provvisoria
(revisione del testo tradotto in data 19/12/05)
Sintesi:

Dei vari sistemi che attualmente possiamo osservare nel mondo fisico, taluni (es. il movimento di piccole particelle di polvere sospese nell’aria) appaiono perfettamente casuali (caotici); laddove altri (es. la crescita delle piante -- leaved plants -- ) mostrano un alto grado di ordine e struttura. Ogni volta che gli scienziati incontrano un fenomeno, o un sistema, che mostra una significativa evoluzione verso l’ordine, ma senza una ragione osservabile per tale passaggio, essi sospettano che la causa di ciò sia imputabile all’azione oggettiva di una forza invisibile (es. l’invisibile forza di gravità che, in presenza di una grande massa come quella della terra, causa il persistente movimento verso il basso di oggetti privi di sostegno). Attraverso questo metodo, i fisici moderni hanno oggi accertato l’esistenza di almeno quattro forze basilari ( la forza di gravità, le due forze nucleari - quella forte e quella sub-nucleare debole – ed infine la forza elettromagnetica), e continuano ad esaminare la possibilità che altre forze, finora non rilevate, possano esistere. Nel 1921, Abdu’l-Bahá presentò un convincente argomento scientifico riguardo l’esistenza di una oggettiva e invisibile forza, come unica ragionevole spiegazione del fenomeno dell’evoluzione biologica. Negli anni successivi la prima pubblicazione della dimostrazione di Abdu’l-Bahá, le scoperte scientifiche mostrarono infatti che il fenomeno dell’evoluzione rappresentava un movimento costante da una condizione di disordine verso una condizione di ordine, imputabile con ogni probabilità all’azione di una invisibile forza, differente dalle altre forze sino a quel momento scoperte. In questo articolo presentiamo una riformulazione piuttosto dettagliata dell’argomento trattato da Abdu’l-Bahá, servendoci della terminologia scientifica attuale, non corrente in quegli anni.

“Se tu desideri la divina conoscenza e riconoscimento.....applica te stesso alle prove razionali e autorevoli. Poiché le prove sono come una guida verso il sentiero, è per loro mezzo che il cuore volge verso il Sole della Verità. E quando il cuore si rivolge verso il Sole, allora l’occhio si apre e riconosce il Sole per mezzo del Sole stesso. Pertanto, le prove non saranno più necessarie, poiché il Sole è completamente indipendente, e l’assoluta indipendenza non ha bisogno di nulla, comprese le prove.” - (Abdu’l-Bahá)

Il consiglio di Abdu’l-Bahá, rivolto a chi desidera cercare Dio, sembra sottolineare almeno due cose: primo, le prove razionali sono utili e necessari punti di partenza; secondo, la più profonda e adeguata conoscenza di Dio va al di là di tali prove ed è essenzialmente irrazionale (che va al di là della ragione). Abdu’l-Bahá evidenzia, in modo interessante, che il risultato dello studio di prove razionali, dovrebbe orientare il cuore del ricercatore verso Dio. Di conseguenza, produrre prove logiche non è cosa fine a se stessa, piuttosto un mezzo per aprire se stessi ad una più profonda esperienza della presenza divina. Tuttavia ogni grande filosofo e ogni tradizione religiosa ha presentato prove dell’esistenza di Dio, e Abdù’l-Bahá stesso ne ha esposte un numero significativo nei suoi scritti. Molte di queste (le prove di Abdù-l-Bahá) sono varianti di classiche prove filosofiche, a partire dalla celebre dimostrazione dell’esistenza di una causa prima proposta da Aristotele. Comunque, nella sua tavola scritta nel 1921 allo scienziato svizzero Auguste Forel, Abdù’l-Bahá offre una distinta e moderna prova dell’esistenza di Dio, basata su fatti certi e principi associati al fenomeno dell’evoluzione biologica. Egli sostiene che la causa della composizione (e decomposizione) degli esseri viventi, deve essere una forza invisibile, oggettivamente esistente e volontaria (quindi una forza cosciente, esterna al processo di evoluzione stesso). Dal momento che questa forza ha prodotto l’umanità, deve essere necessariamente più grande degli esseri umani, pertanto un “ESSERE” dotato di capacità sovrumane.

Questa prova, in particolare, potrebbe essere nuova con Abdu’l-Bahá. Di certo, non poteva essere data in quella forma parecchio tempo prima gli inizi del ventesimo secolo, dato che la teoria scientifica dell’evoluzione sulla quale si fonda, venne sviluppata solamente nel diciannovesimo. Inoltre, molti scienziati che avevano accettato la teoria dell’evoluzione erano filosoficamente materialisti, sostenendo che l’evoluzione rende Dio irrilevante, invece che dimostrarne l’esistenza. Sebbene prove simili a quella di Abdu’l-Bahá siano apparse nella più recente letteratura sulla filosofia della scienza, devo ancora scoprirne una precedente o almeno contemporanea a quella di Abdu'l-Bahá, contenuta nella tavola ad Auguste Forel.

La prova basata sull’evoluzione non è la sola contenuta in quella tavola. Ciononostante, è l’unica che utilizzi sofisticate idee scientifiche, ed è facile che la sua forza di persuasione possa essere sottovalutata da chiunque non sia famigliare con alcuni fondamentali principi di termodinamica. Perciò, piuttosto che adottare un approccio critico-storico alla prova di Abdu-l-Bahá, ci proponiamo in questo articolo, di fornire di essa una accurata e moderna formulazione, utilizzando la terminologia scientifica che, per ovvie ragioni, non poteva essere diffusa a quei tempi, nella speranza che qualcosa della forza di quella esauriente dimostrazione possa essere trasmesso al lettore.

La natura della prova scientifica:

Dal momento che la nostra prova intende essere scientifica, è necessario iniziare col comprendere la natura della scienza e cosa significa prova in ambito scientifico. Questa premessa è necessaria, per evitare di incorrere in comuni fraintendimenti circa la natura delle prove scientifiche.

La scienza è composta di due aspetti fondamentali. Il primo è relativo alla dimensione concreta (o osservabile): noi accumuliamo osservazioni circa un fenomeno e le archiviamo nella forma di dichiarazioni d’osservazione (observation statements). Questa archiviazione costituisce il nostro corpo di verità osservate (o fatti) circa il fenomeno in questione.

Il secondo aspetto della scienza è relativo alla sua dimensione astratta o teorica. Avendo accumulato un certo numero di dichiarazioni d’osservazione circa un fenomeno, cerchiamo di darne una spiegazione. Vogliamo comprendere come i vari fatti di un fenomeno siano collegati l’uno con l’altro. In altre parole, cerchiamo di capire perché il fenomeno si verifica e in che modo funziona. Questo ci induce a formulare una ipotesi (o se preferite, una teoria) che rappresenta la nostra concezione mentale della dinamica di fondo del fenomeno. Questa teoria-ipotesi è solitamente espressa in un linguaggio che utilizza una terminologia astratta, ad esempio quella riferita a entità o forze non osservabili (entità come gli elettroni, o forze come la forza nucleare forte). Al contrario, le dichiarazioni d’osservazione utilizzeranno una terminologia concreta, vale a dire adatta alle entità o configurazioni osservabili.

Il modo con cui noi verifichiamo la validità delle dichiarazioni d’osservazione, consiste nell’effettuare ulteriori e più precise osservazioni e misurazioni. Nonostante ciò, a causa delle naturali ed intrinseche limitazioni dell’apparato sensoriale e del sistema nervoso nell’uomo, non possiamo escludere per intero la possibilità di errore nell’osservazione di un dato fenomeno, indipendentemente dalla attenzione e precisione prestate. Questo si verifica in modo particolare per i fenomeni estremamente piccoli e microscopici, oppure quelli molto lontani dal punto d’osservazione (es. le stelle lontane) , ma può accadere, in generale, anche per i fenomeni più comuni e palesi. Perciò il reale valore dei fatti (dichiarazione d’osservazione) è sempre relativo. L’idea largamente diffusa che i fatti della scienza siano assoluti e incontrovertibili, è perciò sbagliata.

Verificare la validità delle affermazioni teoriche in ambito scientifico, è un processo ancor più complesso. Si comincia con il dedurre nuove dichiarazioni d’osservazione , come logiche conseguenze della teoria; poi si verifica la loro validità nel modo usuale. In altre parole, se la nostra teoria afferma che questa o quella cosa deve accadere, il passo successivo è di verificare se effettivamente questa o quella cosa accade; se la nostra teoria afferma che la neve è bianca, dobbiamo necessariamente verificare se essa è realmente bianca. Le nuove dichiarazioni d’osservazione dedotte da una teoria sono chiamate previsioni (predictions) della teoria; se queste sono confermate dalla nostra esperienza, affermiamo che la teoria iniziale è valida, ossia convalidata o confermata dall’osservazione.

Perciò, anche il reale valore di una dichiarazione teorica in ambito scientifico è relativo; persino se tutte le attuali previsioni di una teoria vengono confermate dall’osservazione, nulla esclude la possibilità che in futuro nuove previsioni smentiscano le precedenti. C’è anche la possibilità che più recenti esperimenti conducano alla futura smentita di attuali previsioni che , sulla base dell’attuale esperienza, sembrano giustificate. Riguardo al reale valore delle teorie, ci troviamo pertanto in una situazione paradossale e in qualche modo umoristica (humorous). E’ possibile dimostrare in modo pressoché assoluto che una teoria è falsa, se alcune delle sue previsioni (predictions) contraddicono clamorosamente delle autentiche osservazioni. Dovrà perciò essere abbandonata oppure modificata in qualche modo. Non importa quante previsioni di una teoria siano state confermate attraverso l’osservazione, perché permane sempre la possibilità che in futuro questa sia smentita da nuove previsioni che contraddicono l’attuale evidenza dei fatti, oppure una nuova evidenza dei fatti che contraddice le attuali previsioni.

Verso l’inizio di questo secolo (1900), si pensò fosse possibile stabilire leggi scientifiche (rules) attraverso la cosiddetta logica induttiva , che ci avrebbe permesso di passare dalla particolarità alla generalità di una conclusione, con lo stesso grado di precisione della logica deduttiva , la quale permette di passare dalla generalità di un principio alla particolarità della sua conclusione. Ad ogni modo, oggi, si sa che ciò non è possibile, nemmeno in linea di principio.

- / Induzione e deduzione: In logica si distingue fra induzione e deduzione, ossia fra un procedimento razionale che dall'esame di casi particolari giunge a una conclusione generale e un ragionamento in cui si trae una specifica conclusione a partire da una o più premesse. Fondamento dell'induzione è il presupposto che, se qualche cosa è vera in una quantità di casi osservati, essa è vera anche in casi simili non ancora vagliati. In questo senso l'induzione consente di affermare, nella conclusione, qualcosa di più e di nuovo di quanto è contenuto nei casi particolari che fanno da premesse. Il suo limite sta nel non poter pervenire a conclusioni assolutamente certe, bensì a conclusioni dotate solo di un grado più o meno elevato di probabilità. La forma classica di ragionamento deduttivo, studiata già da Aristotele, è il sillogismo, nel quale la deduzione si configura come un ragionamento che discende da premesse universali a conclusioni particolari. Aristotele distingue peraltro la deduzione in generale dalla dimostrazione (o deduzione perfetta), la quale consiste in un sillogismo le cui premesse sono vere, e pertanto vera sarà anche la conclusione. Ma una deduzione rimane valida anche nel caso si tratti di un sillogismo le cui premesse non sono vere, ma solamente probabili: è proprio infatti della deduzione il carattere di rigorosa necessità per cui si passa da una premessa a una conclusione. - /Microsoft ® Encarta ® 2006. © 1993-2005 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati. / -

Un teorema di logica matematica ha stabilito che , in generale, ci sia un numero infinito di teorie reciprocamente incompatibili, coerente con ogni insieme di dati di fatto. Dal momento che la limitatezza dell’essere umano garantisce che ci sarà sempre solo un insieme finito di fatti per ogni dato fenomeno, ne deriva che nessun insieme di dichiarazioni d’osservazione , possa mai essere in grado di definire un'unica teoria come spiegazione per il fenomeno. Come afferma uno studioso di logica (Quine, Willard Van Orman , World and Object 78): la teoria non è determinata dai fatti. Perciò, l’accumulo (raccolta) di fatti e l’elaborazione di teorie, sono sotto qualche aspetto reciprocamente indipendenti. Laddove l’accumulo di fatti è un processo lento e graduale, l’elaborazione di una teoria implica un discontinuo e creativo slancio dell’immaginazione. Quando accumuliamo fatti, cerchiamo di comprendere come siano fatte le cose. Quando concepiamo una teoria, ci sforziamo di capire come le cose possano essere.

Da queste considerazioni si stabilisce, in modo incontrovertibile, che nessuna delle verità della scienza può essere mai considerata una prova assoluta. Il concetto di assoluto semplicemente non fa parte della scienza. L’opinione largamente diffusa, che l’essenziale caratteristica della verità scientifica è la sua assolutezza ed esattezza ( si suppone in contrasto con la relatività e imprecisione della verità filosofica o religiosa), è sbagliata. Sebbene qualcuno possa dubitare riguardo la relatività della verità scientifica, questa costituisce invece un aspetto positivo, in quanto permette alla scienza la ricerca della verità in modo dinamico e progressivo, piuttosto che statico e sterile. Inoltre, l’efficacia del metodo scientifico è stata ampiamente confermata dal successo che questo ha ottenuto nel produrre un crescente numero di teorie altamente valide, come risultato della sua applicazione sistematica nel corso degli ultimi cento anni.

- / Per riassumere: una teoria può essere considerata scientificamente valida, quando stabiliamo che sia l’unica più plausibile (probabilmente vera) tra tutte le alternative logiche possibili che conosciamo. / -

Quindi, la prova scientifica dell’esistenza di Dio dovrà rispecchiare quanto detto sopra: per affermare che Dio esiste, occorre dimostrare che tale teoria sia considerevolmente la più plausibile tra tutte le possibili alternative che si possono concepire (in particolar modo quella che afferma che Dio non esiste). In altre parole, noi possiamo sapere che Dio esiste con lo stesso grado di certezza con cui sappiamo che la forza nucleare e gli elettroni esistono.

Ora che abbiamo trattato le questioni metodologiche, possiamo cominciare con la prova vera e propria.

Realtà Visibile ed Invisibile

Iniziamo con lo stabilire il principio dell’esistenza oggettiva di un mondo invisibile, come parte di una realtà esterna alla soggettività umana, ma inaccessibile all’osservazione dell’uomo. In altre parole, esistono forze ed entità che non siamo in grado di osservare direttamente ma che esistono oggettivamente, vale a dire , indipendentemente da qualsiasi percezione umana.

Facciamo un esempio molto semplice: supponiamo di sostenere tra le dita della nostra mano un piccolo oggetto, ad esempio una matita, e dopo alcuni istanti rilasciamolo. Osserviamo che la matita cade sul pavimento, e affermiamo che ciò è dovuto all’azione della forza di gravità. Ora, siamo noi in grado di vedere qualche forza agire sulla matita e causarne la caduta? Chiaramente no . Non osserviamo del tutto (completamente – at all))la forza di gravità; piuttosto deduciamo l’esistenza di una qualche forza invisibile (chiamata gravità), che agisce su l’oggetto privo supporto, per spiegarci il suo movimento verso il basso, altrimenti inspiegabile.

Torniamo nuovamente ad analizzare con attenzione l’iniziale configurazione della matita e poniamoci questa domanda: nel momento in cui la matita è rilasciata, quali sono le direzioni logicamente (fisicamente) possibili

che essa potrebbe percorrere/intraprendere, basandoci strettamente su ciò che osserviamo nella configurazione iniziale? La risposta, chiaramente, è che ogni direzione sarebbe logicamente possibile. Nulla, da ciò che siamo in grado di osservare, dovrebbe fisicamente impedire alla matita di intraprendere una qualsiasi direzione. Non potremmo nemmeno osservare nulla che sembra favorire maggiormente una direzione piuttosto che altre. Eppure, ciò che noi osserviamo in effetti (coi fatti) , al momento del rilascio, è che una, tra le molteplici direzioni, è privilegiata, non importa quante volte l’esperimento venga effettuato, perché è la direzione verso il basso quella che viene percorsa. Quindi, ciò a cui assistiamo è una persistente e significativa deviazione dalla casualità.

In ambito scientifico affermiamo che il comportamento di un fenomeno osservabile è casuale (dovuto al caso) , se tutte le possibilità logiche si verificano (si manifestano) con uguale relativa frequenza. In altre parole, se il comportamento di un oggetto privo di supporto (es. la matita rilasciata) fosse veramente casuale, ci aspetteremmo che alcune tra le alternative possibilità logiche si verificassero di volta in volta. Ad ogni modo, ciò che notiamo, è che non solo le varie possibilità logiche non accadono con la stessa relativa frequenza, ma che soltanto una di esse è unicamente privilegiata, essendo essa scelta esclusivamente. Ne consegue, che quanto da noi attualmente osservato, è una continua, coerente e significativa deviazione dalla casualità ed è questa deviazione (senza alcune ragione osservabile per tale deviazione), che ci porta a dedurre che ciò accade per effetto dell’azione di una forza invisibile. Questo esempio riguardo la gravità illustra un principio generale del metodo scientifico: ogni volta che ci imbattiamo in un fenomeno osservabile che, senza una ragione visibile, esibisce una costante deviazione dalla casualità, ci sentiamo logicamente giustificati nell’asserire che il suo comportamento non casuale è dovuto all’azione di una qualche forza o entità. Comportarsi diversamente , invero, significherebbe adottare un atteggiamento grossolanamente illogico e non scientifico. L’esistenza di ognuna delle quattro forze fondamentali della fisica attuale fu dedotta in questa maniera. E’ così basilare questo principio, che se ce ne sbarazzassimo, tutta quanta la scienza crollerebbe.

Ciononostante, si noti che non abbiamo dimostrato in senso assoluto che la gravità esiste. Infatti, è logicamente possibile (sebbene, di certo, altamente non-plausibile), che ogni istanza dell’azione della forza di gravità osservata dall’uomo, dall’inizio della storia conosciuta sino ad oggi, non sia altro che una incredibile coincidenza. Uno scettico (a-gravitazionista) potrebbe affermare: “Capisco perché tu credi nell’esistenza della gravità, ma preferisco credere che tale invisibile forza non ci sia”. E’ possibile che lo scettico dica che un domani potremmo trovare il mondo in un totale caos e disordine, con oggetti privi di supporto che volano in tutte le direzioni, e quindi essere costretti ad ammettere, che tutta quanta l’esperienza accumulata nel corso di migliaia anni, sia stata soltanto una serie di incredibili coincidenze.

Da quanto discusso sopra, circa la metodologia scientifica da adottare, non possiamo rifiutare categoricamente tale scettica osservazione. Di certo, possiamo puntualizzare quanto infinitesimale sia la probabilità che essa si verifichi, ma lo scettico (uomo o donna che sia) è comunque libero di insistere su una convinzione non plausibile. Egli comunque non può affermare di essere scientifico e razionale, se persiste in uno scetticismo che esclude la gravità. Abbiamo infatti stabilito, che l’esistenza di una forza invisibile di gravità è, sino a questo momento, la più logica (plausibile) di tutte le possibili alternative, e chiunque scelga deliberatamente una alternativa meno logica, è , per definizione, anti-scientifico e irrazionale nella sua indagine.

Tornando ora al nostro esempio della caduta verso il basso di oggetti privi di supporto, si tenga presente che abbiamo notato molto più che la semplice esistenza di invisibili (non osservabili) forze o entità. Abbiamo notato che gli effetti osservabili possono avere cause non osservabili. Abbiamo notato che ci sono molte istanze di un comportamento osservabile che non possono essere spiegate attraverso l’osservazione. Per spiegarci attraverso un linguaggio più filosofico… abbiamo notato che il mondo visibile non è autosufficiente, che non contiene per se stesso una “ragione sufficiente”: i fenomeni visibili della realtà hanno origine da (emergono da) una realtà invisibile.

- / Illustriamo tale verità attraverso una semplice analogia di questo tipo: immaginiamo di trovarci sulla riva di un oceano immenso; l’oceano e le sue profondità rappresentano l’immensità della realtà invisibile. All’improvviso un pesce salta fuori dall’oceano e poi vi si immerge nuovamente. Il breve istante in cui esso è fuori dall’acqua rappresenta un fenomeno di realtà visibile. / -

Questa analogia esprime veramente bene la visione della realtà fisica che deriva dalla fisica moderna (in particolare dalla teoria dei quanti) : i macro-oggetti percepiti della realtà visibile consistono di miliardi su miliardi di pacchetti di piccola energia chiamati particelle elementari in stato (condizione) di relativo ma temporaneo equilibrio e continuo movimento. Queste particelle emergono dalla realtà invisibile (energia pura) e, ogni volta che i loro stati di equilibrio vengono distrutti, esse ritornano nella realtà invisibile.

Fenomeni casuali e non casuali nella scienza

Nella precedente discussione abbiamo chiarito il seguente principio metodologico della scienza: ogni volta che un fenomeno esibisce una osservabile, persistente, significativa deviazione da un comportamento casuale, senza una ragione evidente (osservabile), siamo giustificati nel dedurre l’esistenza di una forza o entità invisibile quale causa di tale fenomeno. Ora, è necessario proseguire e chiederci se esiste un principio della scienza che ci permette di stabilire ciò che è probabile e ciò che non lo è. I fenomeni (o configurazioni) probabili sono quelli più casuali, mentre, i fenomeni (o configurazioni) improbabili sono quelli che derivano dall’azione di una forza invisibile (laddove, naturalmente, non vi sia una causa osservabile).

Invero, esiste un principio, ossia la seconda legge della termodinamica (detto principio dell’entropia), che l’ingegnere francese Carnot (1796-1832) e il fisico tedesco Clausius (1822-1888) illustrarono per primi. Noi prenderemo in considerazione due affermazioni (o formulazioni) di questa legge, una informale ed euristica, l’altra precisa e formale. Comunque, entrambe le formulazioni sono scientificamente corrette.

* La prima affermazione dice: il disordine è probabile, l’ordine è improbabile. Elaborando meglio: ordine, struttura e complessità sono improbabili, mentre, disordine, semplicità e uniformità sono probabili. Possiamo vedere perchè questo sia vero a livello di senso-comune: l’ordine rappresenta poche specifiche configurazioni, mentre ogni possibile logica configurazione rappresenta disordine. Proseguiamo ulteriormente su questo punto: supponiamo di confrontare un mucchio di mattoni con una casa fatta di mattoni. Il mucchio di mattoni rappresenta il disordine, mentre la casa di mattoni rappresenta l’ordine. Se volessimo trasformare la casa di mattoni in un mucchio di mattoni, mattone per mattone, potremmo farlo logicamente in qualsiasi modo possibile. Potremmo infatti prendere un mattone qualunque dalla casa come primo mattone, un qualsiasi altro come secondo mattone e così via. Tutte le possibilità , comunque, ci permetterebbero di ottenere il mucchio di mattoni. Ma nel secondo caso, passare da un mucchio di mattoni ad una casa non sarebbe possibile in modo qualsiasi. Non potremmo, infatti, posizionare alcun mattone a livello superiore senza prima avere posizionato un numero adeguato di mattoni come base inferiore. Quindi, trasformare una casa di mattoni in un mucchio di mattoni rappresenta un processo che passa da una condizione di ordine ad una condizione di disordine, o dall’improbabile verso il probabile. Mentre, trasformare un mucchio di mattoni in una casa ben costruita di mattoni , rappresenta un processo che passa da una condizione di disordine ad una condizione di ordine, dal probabile verso l’improbabile.

Ora, se costruissimo una casa di mattoni in un bosco e la lasciassimo alle forze della natura per cinquanta anni, non resteremmo sorpresi di trovare, in seguito a ciò, la casa degenerata in un mucchio di mattoni. Ma, se lasciassimo il mucchio di mattoni nelle stesse condizioni alle forze della natura per cinquanta anni, resteremmo certamente sorpresi di trovare una casa ben costruita, al posto del mucchio di mattoni. La sorpresa che proveremmo in questo caso, rappresenta la nostra intuizione della verità della seconda legge della termodinamica.

* Ora, vediamo di trattare la seconda, più formale affermazione di questa legge, cominciando con alcune definizioni. Per sistema fisico intendiamo qualunque entità fisica (oggetto) o qualsiasi raccolta di tali entità. Le entità che costituiscono un sistema fisico sono i suoi componenti e ogni raccolta di componenti di un sistema forma un sottosistema. Un sistema fisico isolato è quello che non riceve alcuna energia dall’esterno. Ora, dichiariamo: in qualunque sistema fisico isolato, il disordine tenderà ad aumentare. Inoltre, se il sistema resterà isolato, allora il disordine in esso accrescerà, sino a quando non sia raggiunto lo stato/condizione di massima entropia (o totale disordine). Questo è uno stato/condizione stabile del sistema, che non prevede, una volta raggiunto, ulteriori cambiamenti, a meno che non sia fornita dell’energia, in modo appropriato, al sistema stesso tramite l’esterno. Detto in maniera informale: qualsiasi sistema degenera nella condizione di disordine se “lasciato a se stesso”.

La formulazione della seconda legge della termodinamica porta naturalmente a domandarsi se esistono veramente sistemi fisici isolati. In base a quello che sappiamo, non esistono sistemi totalmente isolati (a meno che lo sia l’intero universo fisico, che potrebbe essere o non essere il caso). Ad esempio, gran parte dell’energia del sistema solare è generata dal sole, ma esistono alcune radiazioni e impulsi d’energia provenienti dall’esterno del sistema. Ciononostante, ci sono molti sistemi isolati relativamente; in quei sistemi la seconda legge della termodinamica è stata sempre confermata. Invero, questa è una delle leggi scientifiche universalmente più verificata e altamente convalidata.

Un punto molto importante dovrebbe essere qui sottolineato. La seconda legge della termodinamica afferma che un qualsiasi sistema isolato degenererà necessariamente verso il disordine, ma questo non esclude la possibilità che sistemi non-isolati possano altrettanto degenerare. Per evitare la degenerazione verso il disordine, non è soltanto sufficiente fornire energia grezza al sistema. L’energia dovrebbe essere fornita in un tal modo e in una tale forma, da permettere al sistema di convertire parte di essa in ordine (o utilizzare energia per rendere complessa la sua struttura). Come questa cosa possa accadere, dipende dalla natura del sistema stesso (la relazione che esiste tra i componenti interni al sistema), dal modo in cui il sistema evolve, e il modo in cui esso interagisce con l’esterno.

Proviamo a fare un paio di esempi. Il moto delle molecole d’aria (teoria browniana – Robert Brown 1773-1858) in una stanza chiusa si presume sia totalmente casuale. Immaginiamo che una bottiglia di profumo altamente volubile sia stappata in questa stanza. La configurazione iniziale, con tutto il profumo contenuto nella bottiglia, rappresenta l’ordine. Una volta che il profumo è rilasciato e comincia a volatilizzarsi, il moto browniano delle molecole d’aria lo diffonderà piuttosto rapidamente nella stanza, sino a quando non sia uniformemente distribuito. Questa è la naturale degenerazione verso il disordine, spiegabile per intero dalla natura casuale del moto browniano. Immaginiamo, ora, di modificare l’esperimento, aggiungendo calore radiante da una sorgente esterna alla stanza. L’aumento della temperatura potrà soltanto aumentare la velocità del movimento browniano, accelerando il processo di diffusione del profumo (e di conseguenza la degenerazione verso il disordine del sistema). In questo caso, l’immissione d’energia dall’esterno del sistema non risulta efficace per una evoluzione verso l’ordine.

Vediamo un secondo esempio: consideriamo il processo di crescita (complessità strutturale) dei sistemi di una pianta sulla terra. Tale crescita dipende dal processo di fotosintesi che si verifica all’interno del sottosistema della foglia della pianta. La fotosintesi utilizza direttamente la luce del sole come fonte d’energia esterna. Se la luce solare fosse eliminata per intero e sostituita da un'altra forma d’energia (si intenda: calore), la crescita della pianta non sarebbe possibile. Quindi, la struttura interna della pianta le permette di utilizzare una certa forma di energia esterna , la luce solare, per aumentare la sua complessità strutturale, e perciò di evolvere verso una più grande condizione d’ordine. Ma altre forme di immissione d’energia non porterebbero alla crescita e alla complessità strutturale, anzi, se in quantità eccessive o in forme del tutto inappropriate, potrebbero persino distruggere il sistema.

Perciò, il mondo osservabile (realtà visibile) è costituito di sistemi fisici. Alcuni stanno evolvendo da condizioni/stati meno probabili verso condizioni/stati più probabili; altri sono (più o meno) statici o stabili; e altri ancora stanno evolvendo da condizioni probabili a condizioni meno probabili. Sistemi del primo tipo possono essere capiti in quanto risultato di un processo casuale. I sistemi stabili sono in uno stato di massima entropia o anche mantenuti in un costante (o periodicamente oscillante) stato, attraverso il contributo dell’energia proveniente dall’esterno (es. i sistemi dissipativi di Prigogine).

Nota extra non contenuta nel documento originale.

Il principale campo di indagine scientifica di Prigogine fu la termodinamica dei processi irreversibili, un argomento a lungo considerato di scarso interesse dalla comunità scientifica e quindi trascurato dalla ricerca. A lui si devono, in questo campo, numerosi risultati, tra cui la formulazione del teorema di produzione dell’entropia minima, un importante contributo alla stesura di una teoria della meccanica statistica di non equilibrio e la definizione del concetto di struttura dissipativa – un sistema lontano dall’equilibrio, evolutosi a partire da uno stato caotico attraverso un processo non reversibile. Quest’ultimo argomento trovò conferma nell’osservazione di importanti fenomeni, tra cui quello delle reazioni chimiche oscillanti, e ridestò l’interesse degli scienziati intorno al tema dei processi irreversibili. Microsoft ® Encarta ® 2006. © 1993-2005 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati.

Quelli che mostrano un’evoluzione da uno stato più probabile verso uno condizione/stato meno probabile non possono essere la conseguenza di un processo casuale. La causa di un simile schema di crescita/sviluppo può essere soltanto qualche osservabile contributo di energia (es. la crescita di una pianta sulla terra che è alimentata dall’energia solare) o anche qualche forza non osservabile, invisibile. E’ quest’ultimo caso che prenderemo ora in considerazione.

Dio esiste

Proviamo ora a pensare a tutti i sistemi fisici osservabili nell’universo e chiediamoci quale di essi sia il più complesso, il più altamente ordinato, il più strutturato. La risposta è chiara ed inequivocabile: l’essere umano . In particolare il cervello umano e il sistema nervoso centrale, che rappresenta senza alcun dubbio, la più sofisticata raccolta di entità in azione (behaving - letterale: che assumono un comportamento) nell’universo conosciuto (riferirsi, ad esempio, alla serie di quattro volumi La neuro-scienza). Secondo qualsiasi standard di confronto e considerando qualsiasi sistema fisico conosciuto, naturale o artificiale che sia, l’essere umano è di gran lunga il più altamente ordinato e complesso. Di seguito, tutte le volte che andremo a parlare di essere umano, intenderemo l’essere umano fisico e non in senso metaforico, culturale o spirituale. (a meno che non vi sia una nota che chiarisce il significato attribuito).

Possiamo subito giungere a una prima conclusione: dal momento che l’essere umano è la struttura più altamente ordinata nell’universo conosciuto, esso è anche il più improbabile di tutti i sistemi fisici e il prodotto meno probabile di un processo casuale. Quindi, proviamo a dare un’occhiata al processo che ha prodotto l’essere umano, processo che chiamiamo evoluzione.

Primo, abbiamo bisogno di stabilire i fatti del processo d’evoluzione (sino a quando siamo in grado di conoscerli). I fenomeni osservabili dell’evoluzione sono principalmente quelli registrati nei fossili, trovati nei livelli di sedimento in varie località della Terra. Se ci fossero contraddizioni o ambiguità in queste testimonianze fossili, avremmo un maggior problema nell’interpretazione di questi dati. Comunque, non è questo il caso. Tutti questi livelli di sedimentazione mostrano la stessa configurazione di base, cioè, che più alte e complesse forme di vita hanno sostituito quelle più semplici e meno complesse. In altre parole, il processo d’evoluzione fu un processo di graduale passaggio verso forme più complesse; una evoluzione dalla relativa semplicità e disordine verso una relativa complessità e ordine. Fu, pertanto, un processo di passaggio da una più probabile configurazione (semplicità strutturale e disordine di base) ad una meno probabile configurazione (complessità strutturale e ordine).

A questo punto della discussione ci si potrebbe facilmente lasciare coinvolgere in complicate discussioni riguardo la durata dell’esistenza dell’universo, del sistema solare o della terra, o circa la durata effettiva delle condizioni favorevoli alla vita, prima che questa si manifestasse sulla terra, ma lo schema di base resta comunque inequivocabilmente chiaro. La terra esiste da alcuni miliardi di anni (l’opinione di molti esperti fissa l’età del pianeta intorno ai 4 miliardi e mezzo di anni). Le prime e più rudimentali forme di vita si pensa siano state delle alghe blu-verdi, apparse molto probabilmente circa due miliardi fa. Ad ogni modo, dopo l’iniziale comparsa delle alghe, ci fu un lungo periodo (forse un miliardo di anni) durante il quale esse furono le sole forme di vita presenti. Dopo che le alghe divennero abbondanti, altre forme primordiali di vita vegetale apparvero. Attraverso l’applicazione radioattiva (radioactive dating – datazione radioattiva) e altri metodi, è stato stabilito con un alto grado di certezza, che le prime forme rudimentali di vita animale di tipo invertebrato non possono essere apparse prima di 600 milioni di anni fa. Perciò, il processo di evoluzione a partire da animali unicellulari sino alla comparsa dell’uomo maturo (circa 50,000 anni fa), è durato non più di 600 milioni di anni, che, da un punto di vista geologico, è un lasso di tempo piuttosto breve. Questo prova che nell’evoluzione non ci fu tempo illimitato per la sperimentazione. Ancor più, si stima che circa un migliaio di specie intervennero (fecero la loro comparsa) nel periodo che intercorre tra la comparsa degli organismi unicellulari sino all’essere umano maturo (completo). In ogni caso, il passaggio da una specie ad un'altra fu un processo di transizione, da una più bassa ( e perciò più probabile, meno complessa) ad un più alta (e perciò meno probabile, più complessa) configurazione. Infine, l’evidenza di quanto registrato nei fossili mostra, in maniera consistente, che l’evoluzione non fu un processo calmo e graduale. Fu piuttosto un alternarsi di periodi di stasi e stabilità (il cosiddetto plateaus), con periodi molto brevi di rapido cambiamento (verso uno stadio evolutivo più complesso).

Quindi, l’evoluzione è chiaramente un esempio di processo che mostra una significativa e persistente deviazione dalla casualità. In un periodo di tempo specifico e limitato, ci fu un persistente e ricorrente movimento da configurazioni più probabili verso configurazioni meno probabili. Pertanto è anti-scientifico e irrazionale attribuire tale processo al caso. Invero, già soltanto il passaggio da una specie a quella successiva potrebbe, se lasciato al caso, richiedere tanto tempo quanto quello della terra stessa, e per quantificare l’intero processo dell’evoluzione, dovremmo moltiplicare tale cifra per un migliaio, ottenendo una cifra ancor più grande di quella stimata per il periodo di tempo, a partire dall’inizio dell’universo intero sino all’attuale presente.

Alla luce di queste considerazioni, abbiamo diritto scientifico (invero siamo costretti dalla logica del metodo scientifico) di concludere che il processo dell’evoluzione è il risultato dell’azione di una qualche forza non osservabile (invisibile). In particolare, noi esseri umani siamo il “prodotto finale” dell’evoluzione e quindi dobbiamo la nostra esistenza a questa forza. Sembra ragionevole chiamare questa forza con il termine “Dio”, ma chiunque non si sentisse a suo agio con questa definizione, può semplicemente chiamarla “forza dell’evoluzione”, o più precisamente “la forza che ha prodotto l’evoluzione e perciò prodotto l’essere umano”. Inoltre, è particolarmente ragionevole supporre che la forza dell’evoluzione sia differente da tutte gli altri tipi di forza scoperti dalla scienza , oppure ipotizzati, perché in accordo con l’attuale conoscenza, nessun altra forza potrebbe aver prodotto il fenomeno dell’evoluzione.

Ora, proprio come nel caso della gravità, uno scettico può rifiutare di accettare l’esistenza della forza dell’evoluzione, scegliendo di credere che l’evoluzione sia un processo casuale, una serie di coincidenze altamente improbabili; ma effettuando tale scelta, lo scettico rinuncia a qualunque pretesa di agire scientificamente o razionalmente. Dal punto di vista del metodo scientifico, uno deve sempre scegliere la più probabile tra tutte le conosciute, logiche e possibili alternative. Sebbene, sia logicamente possibile che l’evoluzione sia un processo casuale, non è di certo la più probabile delle possibilità. Tale scettico, specialmente se si trattasse di una persona che pratica la professione di scienziato, dovrebbe spiegare perché accetta e segue questo basilare principio della metodologia scientifica in ogni ambito di ricerca, mentre fa eccezione nel caso dell’evoluzione. Se uno non ha alcun problema di credere nella gravità o nella forza nucleare, perché allora pone una irrazionale resistenza nel credere alla forza dell’evoluzione?

Affermiamo di essere riusciti nelle nostre intenzioni di dare una prova scientifica dell’esistenza di Dio. Abbiamo mostrato, sulla base di un fenomeno osservabile (la venuta all’esistenza del genere umano), che l’esistenza di una causa non osservabile è la più ragionevole tra tutte le possibilità logiche conosciute. Ciononostante, qualcuno potrebbe ben domandarsi questo: fino a che punto siamo giustificati nel chiamare tale forza (la Forza dell’Evoluzione) “Dio”? Perché non usiamo lo stesso nome (“Dio”) per la forza di gravità o per quella nucleare? Trattiamo tutto questo nella sezione che segue.

La natura di Dio

Occorre premettere che per proseguire in questa sezione, è necessario aver accettato la precedente dimostrazione dell’esistenza di una forza invisibile, quale causa del processo di evoluzione e quindi del genere umano, in quanto prodotto finale del processo stesso. L’identificazione di questa causa con Dio potrebbe inizialmente apparire arbitraria e gratuita. Nonostante tutto, una piccola riflessione ci permette di capire che di questo non si tratta.

Sappiamo che questa forza è in grado di produrre un essere, l’uomo, che è capace di esibire tutto l’acume, l’ingegnosità, la capacità e la raffinatezza possibili. Non chiamiamo la gravità o la forza nucleare “Dio”, per il semplice fatto che gli effetti prodotti da tali forze non sono così meravigliosi quanto quelli prodotti dalla forza dell’evoluzione. Con lo stesso spirito che ha animato il nostro approccio di base all’interno di questo articolo, possiamo chiederci se è ragionevole, oppure no, supporre che una forza capace di produrre un effetto come l’essere umano, sia quantomeno dotata delle stesse capacità dell’uomo. Questa ipotesi sembra ragionevole (se non addirittura di più) di ogni altra logica possibilità. Infatti, sappiamo con certezza che questa forza è capace di fare almeno un cosa che noi esseri umani non saremmo mai in grado di fare, ossia di portare all’esistenza la razza umana. Invero, durante tutto il periodo che questa forza utilizzava per far avanzare l’evoluzione, il genere umano non esisteva nemmeno. Noi siamo il risultato dell’azione di questa forza e dobbiamo la nostra esistenza ad essa. Essa ci ha creati.

Nella nostra discussione circa la realtà visibile ed invisibile, abbiamo già notato che, dal punto di vista della fisica moderna, la realtà invisibile produce quella visibile e, infatti, la include e la oltrepassa. E’ quindi plausibile che circondi e superi gli esseri umani. In particolare, sappiamo, attraverso l’esperienza di noi stessi , di essere dotati di un intelletto consapevole e di una volontà libera. Non è quindi irragionevole convincersi che la forza o entità che ci ha prodotti, che è la causa della nostra esistenza, possa essere dotata di facoltà quali la conoscenza, la consapevolezza, l’intelligenza e la volontà superiori alle nostre. L’unica alternativa sarebbe di credere che un forza cieca e inconsapevole, priva di qualsiasi intelligenza, abbia in qualche modo portato all’esistenza una creatura dotata di intelligenza di cui è consapevole (l’uomo, infatti, è consapevole della sua stessa intelligenza).

Invero, anche se non conosciamo del tutto ogni cosa, almeno siamo consapevoli di avere una soggettività, a causa del fatto che la nostra conoscenza di ogni cosa avviene attraverso la nostra soggettività. La nostra soggettività è perciò la condizione più basilare della nostra esistenza. E’ lo spazio interiore nel quale ciascuno di noi vive e sappiamo che essa (soggettività) e la nostra conoscenza sono il prodotto dell’azione della forza evolutiva. In questo modo, la conoscenza della natura di quella forza che ci ha creati, può essere più propriamente esplorata attraverso una profonda ricerca di ciò che è più immediatamente accessibile a noi, ossia il nostro stesso intimo essere. Sembra, pertanto, che la nostra conoscenza dell’esistenza e della natura di Dio poggi sulla più solida delle basi possibili. *

* Secondo quanto contenuto negli Scritti Bahá’i, lo strumento più efficace per conseguire la conoscenza di se stessi e giungere alla conoscenza di Dio, sono gli insegnamenti delle Sue Manifestazioni. Per una trattazione sul ruolo di queste figure storiche (i messaggeri di Dio nelle varie epoche della storia dell’umanità), vedere, per esempio, il libro “Concept” di William S. Hatcher.


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